Libero Gioco

Ciascuna delle opere di Rossella Ramanzini è il risultato di un lavoro paziente e diligente. L´idea artistica prende forma sovrapponendo, strato su strato, motivo e silhouette, lasciando a ciascuna figura il tempo di asciugare prima di aggiungere accanto l´elemento successivo. La sua tecnica si è evoluta nel corso di anni di sperimentazione con strumenti inusuali e processi infiniti. Lontano dall´essere un esercizio frustrante di resistenza, è stato un lungo lavoro di pazienza e amore.

Il titolo “Libero Gioco” descrive in modo appropriato l´esperienza lavorativa dell´artista. Come spiega lei stessa, il suo metodo è come un gioco o un puzzle di forme, colori e humour, in cui gli elementi sono continuamente rimescolati fra loro fino a ottenere il risultato perfetto: un sottile gioco intellettuale al quale l´artista ci invita se sapremo osservare da vicino le sue composizioni.

Il suo immaginario trova espressione in un progetto artistico in cui motivi, colori e forme sono finalmente liberi di prodursi in combinazioni seducenti. Ciascuna opera testimonia il talento di un´artista matura nel disegno e nella decorazione, un´impronta rinascimentale che la avvicina alla grande stagione del design italiano del secondo dopoguerra, quando gli architetti collaboravano liberamente con artisti e designer in una sorta di gioiosa cospirazione da cui nascevano opere, strutture e installazioni meravigliose. Troviamo un riferimento calzante nelle parole pronunciate dal pittore, scultore e designer milanese Piero Fornasetti durante l´intervista condotta da Shara Wasserman (storico d´arte e curatrice): “Il design è nella natura degli italiani. Lo esprimono e producono spontaneamente. è misura, armonia, equilibrio.” Queste parole descrivono in modo perfetto le creazioni dell´artista Rossella Ramanzini. Le opere di Fornasetti, appartenenti a un mondo magico, saturo di immagini e colore e colmo di stravaganze e umorismo, hanno certamente influenzato i surrealismi più intimi di questo corpus di opere di Ramanzini, da cui traspare tuttavia decisamente la composizione del tutto personale del proprio mondo di moda, sport, giochi, fatto di figure delicate, stilizzate, di accostamenti ironici e di un tocco di humour.

In questo mondo particolare la spensieratezza e la celebrazione del gioco sono in contrasto con forme fisse e immobili, oppure fluttuanti sulla superficie, che sembrano avere un doppio significato e ci inducono a guardare oltre la facciata. Quando osserviamo alcune di queste immagini scelte con cura, capiamo che forse si chiede anche a noi di giocare, risolvere l´enigma, trovare il tassello mancante del puzzle. L´opera dell´artista ci ricorda anche quella di M.C. Escher, incisore e grafico olandese. Guardando le sue opere o quelle di Ramanzini possiamo scegliere di gustare semplicemente la disposizione stravagante di motivi e geometrie, oppure guardare in profondità per scoprire il significato delle domande proposte: gocce di pioggia che cadono da un cielo cupo, uomini che si guardano fisso su uno sfondo di pedine, una corona rovesciata che fluttua sopra una figura femminile e diverse figure sospese a mezz´aria come se il tempo si fosse fermato.

Rossella Ramanzini nasce a Brescia, in Italia, dove vive e lavora. Terminati gli studi tecnici, inizia a sperimentare da autodidatta la pittura, scoprendo un vocabolario personale che le consente di esplorare l´ampio universo dell´arte neopop – optical. Molti esponenti della Pop art, in particolare Andy Warhol, Roy Lichtenstein e Jim Dine usavano uno stile grafico che richiamava in modo straordinario l´arte commerciale, ricorrendo spesso alle tecniche di stampa, soprattutto litografia e serigrafia, per ottenere un approccio freddo e distaccato. Ramanzini raggiunge una sensibilità simile ma attraverso l´uso di matrici tagliate a mano e nastri adesivi con cui definisce nettamente il profilo delle figure e conferisce alle sue opere un appeal contemporaneo e fresco.

Una discussione su questa artista non può prescindere dalle influenze di un passato più lontano. Rossella Ramanzini affonda le sue radici in una famiglia di artisti: il prozio Trainini era un famoso affrescatore bresciano, conosciuto per aver decorato più di 100 chiese con i suoi quadri, con sculture, architetture e affreschi. Ramanzini menziona anche l´influenza diretta di un altro artista del passato all´interno della sua famiglia. Per alcuni potrà essere una pura coincidenza, o forse è il destino di tutti gli artisti italiani essere influenzati, in un modo o nell´altro, dal ricco retaggio culturale di questo paese. Per quanto riguarda le opere di Ramanzini è sufficiente guardare l´uso squisito dei motivi geometrici colorati che bordano molti affreschi italiani, o la simmetria equilibrata dei magnifici rosoni, per cogliere l´evidenza di questa fonte storica di ispirazione. è una fortuna che questi elementi abbiano trovato il modo di riaffiorare per essere utilizzati nel perfetto equilibrio di espressione contemporanea che contraddistingue l´opera di questa artista.

Sia che la sua opera rifletta stili di un lontano passato o un movimento artistico più vicino alla nostra esperienza contemporanea, ciò che conta è il risultato finale. Ci interessano il suo uso ermetico del disegno e le delicate allusioni all´umanità. L´osservatore rimane affascinato dinanzi questa rappresentazione del gioco, in cui talvolta si vince talvolta si perde.

………………………………
Alette Simmons-Jimenez
Simmons-Jimenez è un´artista, curatrice e scrittrice di Miami (USA).

 

 

Tra Allusione e Illusione

Nella pittura di ROSSELLA RAMANZINI ogni immagine contiene sempre molte immagini: è una struttura plurima, un organismo elastico, aperto, multiforme. Come in un testo di Borges ogni elemento di questo immenso, sfuggente edificio può essere una porta d´entrata: da qualsiasi frammento (sagoma, ricamo o carta da gioco che sia) si scruta e si percorre potenzialmente l´intero. Ma è lì la trappola visiva: nel fatto che il tutto coincide con la parte, che la completezza è costruita dalla parzialità, come se si trattasse di un paradossale puzzle. RAMANZINI però non si limita a mostrarci i pezzi (o le pedine) del suo ingranaggio, ma ci coinvolge nel suo funzionamento, ci trascina nella sua azione. Così il nostro occhio fa esperienza di quella che il filosofo Merleau-Ponty chiama “l´enigma della visione”. “Sarebbe ben difficile dire dove è il quadro che sto guardando – egli scrive -. Giacché non lo guardo come si guarda una cosa, non lo fisso là dove si trova, il mio sguardo erra in lui come nei nimbi dell´Essere. Più che vedere il quadro, io vedo secondo il quadro o con esso”. E´ l´immagine che ci fa segno, la composizione che ci guida, il colore che ci fa vedere. Per RAMANZINI l´arte non è più un oggetto, ma un processo e la percezione non è passiva, ma attiva. Per lei non è importante arrivare alla fine della corsa (alla definizione della forma), quanto fare l´esperienza della corsa (rimanere nella congettura della forma). Se osserviamo, ad esempio l´opera dal titolo Coi cavalli ti trastulli ci troviamo di fronte ad un ritmo di simboli, di silhouette, di elementi decorativi che s´incastrano tra di loro dando luogo a figure illusorie come quelle di Rubin. E´ un infinito vorticare di saperi visivi, una migrazione o deriva di senso, un contagio di punti di vista. La sagoma del cavallo è anche una carta da parati, l´allusione al gioco degli scacchi è anche un richiamo al mitico uomo con bombetta di Magritte. Pare quasi che l´artista si concentri su quella che è la potenza associativa delle immagini, che dà come riscontro la plausibilità dell´assurdo, l´imprevedibilità del luogo comune, la precarietà di ciò che può sembrare mitico (com´è, appunto, il simbolo).

Non si pensi però agli impeccabili giochi mentali di Giulio Paolini, anch´essi fatti di continue connessioni, rimandi, confronti visivi. In Paolini l´arte suggerisce una sospesa interrogazione sul “perchè” dell´immagine, in RAMANZINI invece fa prospettiva sul “come”; in Paolini l´opera è tutta ripiegata su se stessa e sull´analisi delle proprie strutture interne, in RAMANZINI è tutta “estroflessa”: è un modo per “orientare disorientandoci”, per portarci alla conoscenza attraverso la perdita di conoscenza, come se fossimo dentro un giallo o un labirinto. Tutto è mostrato, illustrato, ma la soluzione sta oltre le apparenze. Possiamo chiamarlo messaggio alternativo, scenario irriverente? Quello che è certo è che l´artista mette in campo tutto l´armamentario strategico perchè appaia proprio così: specchi, raddoppiamenti, alternanze di positivo e negativo, rovesciamenti di ruolo, ecc. Tutto concorre a rendere il quadro una sorta di “azione teatrale” o anche di mondo visto “sub specie ludi”. Perfino le soluzioni tecniche presentano qualcosa di giocoso, simile a quello che fa un bambino quando tenta di costruire un´immagine con i suoi stampini. Solo che lui cerca di mettere ordine ai suoi sogni o ai suoi impulsi. Ramanzini al contrario fa uso di matrici tagliate a mano perchè i sogni trovino la loro libertà. La sua è un´opera ad incastro, fatta di tanti tasselli che si fondono e si diffondono sempre a caccia di relazioni improbabili, di incontri apparentemente fortuiti. E´ l´estetica del “come se”, quella del tromp-l´oeil per intenderci, che aggiunge al fascino formale della pittura il fascino spirituale dell´inganno, della mistificazione dei sensi. Basta sottrarre una dimensione agli oggetti e alle figure reali (quella cioè della profondità) per aggiungerne un´altra alla loro magica presenza, alla loro perfezione irreale: un po´ come accade in Flatland di Edwin A. Abbot: un luogo a due dimensioni, totalmente piatto, abitato da figure appena tracciate su di un pavimento eternamente illuminato. Un luogo in cui si verificano le imprese più folli, si sovvertono le leggi di gravità, si infrangono tutte le coordinate spazio-temporali, ma anche un luogo in cui vigono rigorosi ordini matematici, precise regole geometriche. Anche i quadri di Ramanzini, se vogliamo, sono “capolavori” di illusionismo prospettico. Le sue leggi sono il taglio, l´inesorabilità della linea di contorno, la distribuzione dei piani. Ma i suoi sviluppi poi sono simili a quelli adottati da Matisse nei suoi Papiers découpes: sono tentativi di “superare l´eterno conflitto tra disegno e colore”, disegnando direttamente nel colore e introducendo in continuazione accostamenti, incastri, sovrapposizioni. In questo modo lei riesce a massimizzare due fonti di energia: la modulazione degli sfondi neutri (o perfino bianchi) e la saturazione elettrizzante del colore.

Solo che le figure rimangono inesorabilmente piatte, pure sagome che possono ricordare i manichini (ma senza metafisicherie ambigue). L´artista allora le riveste con tanti elementi che hanno a che fare con il gioco: “semi” delle carte, puri arabeschi, birilli, pezzi degli scacchi. A volte si tratta addirittura di giochi formati da altri giochi o di giochi che piovono dall´alto, come in Golconde di Magritte. Ma non c´è nessuna intenzione di fare un discorso sul divertimento o sullo spazio (sulla distanza) che il gioco ci fa guadagnare rispetto a noi stessi e rispetto alla realtà che normalmente viviamo, anche se dei cerchi, pari a lenti di cannocchiale, potrebbero farci pensare il contrario. Il gioco qui casomai è inteso nella sua possibilità di produrre uno squilibrio, un´incertezza, un rischio, una finzione visiva. Così ci accorgiamo che nella “realtà del giocare” è essenzialmente il proprio io che viene messo in gioco. Siamo su un altro mondo, su un´altra scena (forse su altro palcoscenico, dato che i supporti dei dipinti sono simbolicamente di legno).

Ma alla fine di questa recita, di questo va e vieni tra realtà ed emblema, sogno e miraggio, immagine e racconto, si ha la sensazione di trovarsi dentro gli statuti dell´”ornamento”. Un ornamento non inteso però come mera opzionalità o esornatività decorativa, ma come sonda che interroga e mette in questione alcune delle nostre secolari convinzioni sulle forme dell´arte. Già il Salmo 33 recita: “Il Signore creò col soffio l´ornamento dei cieli”. Ecco, la “pittura decorativa” di RAMANZINI slitta via da ogni funzionalità e si colloca nel dispendio inutile, nell´ulteriorità del dono. Il suo ornamento è come se non avesse né firma né autore, né maestro, né aura. Non racconta niente – non gesta, non imprese, non fedi – racconta solo se stesso con i suoi labirintici intrecci e la sua grazia astratta (e provocatoria).

…………………..
Luigi Meneghelli
Critico d´arte e Curatore
Collabora con FlashArt

Trabocchetti d´Arte

Nell´operare di Rossella Ramanzini si ravvisa un forte legame tra l´ideazione e l´esecuzione, perché la sua idea di arte consiste nella predisposizione e nella sintesi di forme, come ritagli geometrici, matrici stilizzate e profili elementari, e nella successiva ricerca di un metodo combinatorio degli elementi visivi e rappresentativi. La preliminare messa a punto di identiche sagome o silhouette, utili allo sdoppiamento e alla moltiplicazione delle forme, all´alternanza del vuoto e del pieno e al refrain di una gamma limitata di colori acidi, di ascendenza industriale, segna l´incipit del gioco artistico da realizzare, l´eccitazione e l´inizio di una sfida tra le più incerte: l´opera d´arte.

Nell´elaborazione di regole compositive, nelle quali le sovrapposizioni iconiche si accordano all´aritmia di assonanze e dissonanze cromatiche, alla tassellatura di piani e al virtuosismo delle simmetrie speculari, l´esercizio pittorico mima la serialità e le configurazioni del gioco, da quello dell´oca a quello degli scacchi, fino a diventare libera visione ed esperienza percettiva ludica, abbandono momentaneo della bruta realtà. L´arte e il «libero gioco», come titola la mostra bresciana, si riconfermano come le attività tra le più serie e piacevoli che esistono, in quanto creano, alimentano e modificano il rapporto tra l´uomo e l´ambiente, tra la realtà e l´illusione, tra la coscienza di sé e l´alienazione.

Se, da una parte, il gioco permette all´artista di conoscere la materia e le possibilità pittorico-grafiche lavorandole, le permette, cioè, di inventare il mondo del gioco, come afferma il curatore Luigi Meneghelli, tra struttura, capriccio, ordine e divertissement – , dall´altra si richiede al fruitore di smontare la visione e ricostruirla individuandone le tattiche e le strategie possibili di un mondo affettivo e fantastico, carico di dubbi e incertezze sia nella rappresentazione sia nella vita concreta. Ogni opera, infatti, appare provvisoria e priva di soluzioni formali finali, in quanto essa si presenta come fase di ricerca, registrazione temporale di equilibri instabili, pretesa di veridicità rappresentativa, perenne oscillazione ossimorica tra realtà e surrealtà. Inutile nelle opere di quest´artista cercare il senso, l´identità, il movimento e la direzione delle figure stilizzate o dei birilli sospesi nel vuoto, in quanto essi sono soltanto immagini mentali senza alcuno scopo, se non quello dell´indagine possibilistica della rappresentazione. Nel brivido intellettuale che accompagna la relatività del vedere e del vivere, l´artista si diverte a provocare l´inganno ottico, fino a dichiarare indirettamente che l´arte è soltanto ipotesi od ordinamento di imprevedibili trabocchetti, produzione allegorico-simbolica di mondi assurdi e illusori, colmi di stupore e meraviglia visiva.

In questo sentire, la visione non è soltanto ciò che si vede, ma anche la sedimentazione di ciò che si pensa, gioco associativo non solo dello sguardo, ma insieme dell´emozione e della mente. L´artista, attraverso ogni sua opera, pone, quindi, il problema della conoscenza ordinata, del dominio del reale, che le appare troppo enigmatico e assurdo da decifrare. L´arte si presenta, quindi, come compensazione visiva o godimento rassicurante della nozione di combinazione infinita di dati e fatti, disordine e ordine fenomenico di strutture profonde, capaci di fornire il modello del mondo e della realtà a noi sconosciuti.

……………………..
Gianpietro Guiotto
Critico d’Arte

 

 

Rompicapi nel gioco libero

«Un gioco illusorio, fluttuante eppure immobile. Schietto ma pervaso di citazioni sibilline. E Libero». La bresciana Rossella Ramanzini espone trappole visive: immagini come puzzle in cui si incastrano figure stilizzate, birilli, carte da gioco, mazze da golf. Labirinti infantili, fiabeschi, su cui aleggiano le ombre dell´età adulta: donne sinuose si muovono tra le pedine di una scacchiera che non esiste; una dama cavalca un´oca corvina; un equilibrista percorre la scala di una torre evanescente… Il tempo si cristallizza e le sagome si librano in una dimensione rarefatta che, seppur costruita su rigorosi ordini geometrici, sovverte le leggi di gravità e frange lo spazio. In queste visioni enigmatiche, fatte di nastri e matrici tagliate a mano, riaffiorano i fantasmi di Magritte, Roy Lichtenstein e Andy Warhol da cui l´autricedesume unostile grafico freddo, preciso, e al contempo pervaso da un´ironia cerebrale. La spensieratezza del gioco e l´iridescenza dei colori stridono conla fissità delle forme, stagliate su una superficie piatta. Allo spettatore non resta che intuire la soluzione di questo rompicapo ermetico, multiforme, sfuggente.

………………………….
Alessandra Troncana
Giornalista